L’arte molitoria

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Lungo le vie dei mulini ad acqua

L'arte molitoria nella Venezia Orientale

Verso il Mille iniziano a diffondersi i mulini ad acqua che consentiranno nei secoli successivi lo sviluppo e il perfezionamento dell’arte molitoria, anche se le prime testimonianze di questi opifici si riscontrano nel territorio già dall’VIII secolo in seno a fondazioni monastiche.

Le più antiche notizie sui mulini nel Veneto Orientale sono legate al fiume Loncon, citato nel 996 in un documento di Ottone III che concedeva al vescovo di Concordia l’immunità sulla selva che si estende dal Lemene al Livenza. L’etimologia del nome Loncon deriva dallo slavo “lonka” (palude, prato paludoso) da cui il significato di “fiume che scorre in mezzo a parti e paludi”.

Nel territorio del Comune di Pramaggiore lungo questo fiume di risorgiva sorgevano ben sei mulini, tutti citati fin dal XVII e di cui offre un’importante testimonianza il Mulino di Belfiore, l’unico rimasto e oggi sede di uno tra i più interessanti musei etnografici regionali dedicati all’arte molitoria.

Spostandoci più a est, lungo l’asta del fiume Lemene il Mulino di Stalis, nel Comune di Gruaro, località identificata con il mulino, sorto su un’isola in mezzo al corso d’acqua, e citata per la prima volta nel 1182: “Vincaretum cum curte, Staules cum curte” in una Bolla del papa Lucio III in cui si attesta la dipendenza dell’opificio dalla vicina Abbazia benedettina di Santa Maria in Sylvis.

Più a sud, seguendo il percorso del Lemene, si arriva nuovamente a Portogruaro nel cui centro storico, in prossimità del campanile e del duomo di S. Andrea ritroviamo i Mulini di Sant’Andrea, situati nell’omonima contrada. “Portum de Gruario cum molendinis, cum omnibus ad se pertinentibus” si legge nella bolla di Papa Urbano III del 1186 che li cita per la prima volta, mentre in un documento del 1318, si legge che il vescovo Jacopo d’Ottonello li diede in affitto, alla comunità di Portogruaro.
In un altro contratto stipulato nel 1369 dal vescovo Guido III de Barsiss, si precisa che le portelle che chiudono le acque del Lemene tanto dalla torre di San Nicolò come a quella di San Giovanni sono di proprietà del vescovo, che, in quanto proprietario, le aggiusta e le costruisce. Nello stesso contratto si legge che due ruote del molino di San Giovanni vennero spostate in quelli di Sant’Andrea, che allora raggiunsero così la cifra record di dieci ruote, a testimonianza dell’intensa attività produttiva.

Con l’annessione di Portogruaro alla Serenissima, Venezia assunse i poteri sovrani, ma riconobbe i diritti feudali del vescovo e con essi anche la proprietà dei due molini la cui gestione venne anche affidata nel corso dei secoli a donne, a testimonianza dell’esistenza nel territorio di esperienza imprenditoriali al femminile.
Dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866, furono acquisiti dal Pubblico Demanio. Per l’importanza delle chiuse, nella regolazione del flusso delle acque, passarono, nel 1928, di proprietà al Consorzio di Bonifica di Lugugnana.
Dopo la seconda guerra Mondiale ospitarono mostre di pittura e nel 1993, in seguito ad un importante restauro, divennero sede della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea.

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